« La vita è meravigliosa, la vita è bella »

Queste parole, ripetute come un costante ritornello, sono il testamento spirituale di una delle tante grandi anime morte nell’inferno di Auschwitz, la giovane Etty Hillesum.

Queste parole esprimono al meglio l’essenza dell’animo ebraico.

Ci si può chiedere: perché mai un sito che parla di arte e kabbalà si apre con Etty Hilllisum? Quale nesso lega Kabbalà e Shoah, fatta esclusione del fatto che entrambe fanno parte del patrimonio storico ebraico?

 

LA LUNA

L’ingresso al sito ci mostra un’animazione delle diverse fasi lunari:
nella Kabbalà da sempre, la luna è il simbolo per eccellenza del popolo d’Israele: come la luna ci indica di notte in che direzione si trova il sole, così Israele, durante il buio delle prove della vita, ci indica la presenza del Santo sia Egli Benedetto.
Come questa luce solare si posa su di essa in modo ciclico, crescente o decrescente, così la storia del popolo d’Israele si snoda attraverso fasi di graduali successi a periodi di eclisse totale della Luce Divina.
Ma anche quando la luna non è visibile nel cielo stellato, sappiamo che essa ci sta presentando soltanto la sua faccia oscurata: abbiamo la certezza che allo stesso tempo l’altra sua faccia, che non vediamo, è rivolta verso il sole.
Questa è l’essenza della fede ebraica: anche nelle tenebre più fitte si ha la certezza che, dall’altro lato, il sole sta illuminando l’altra faccia della luna e risplende in tutto il suo splendore.

La Shoah costituisce l’oscuramento della luna, la tappa dell’assenza di D’, la sua eclissi totale, il suo silenzio.
La ricostruzione dello stato d’Israele che ha immediatamente seguito lo sterminio e il conseguente ritorno alla Terra dei padri
di tutti gli ebrei dispersi ai quattro angoli della terra,
sono un compimento letterale delle parole della Torah e degli scritti dei profeti d’Israele, l’aurora dell’era messianica.

In un mondo in cui le comunicazioni di massa ci offrono sempre di più una visione negativa e pessimistica della realtà, in cui le notizie che fanno scalpore sono quelle catastrofiche, il nostro sito vuole dare un piccolo ma importante contributo alla diffusione della visione positiva del mondo che la tradizione ebraica propone.

Questa intento nasce dalla convinzione profondamente radicata nell’animo ebraico, che il mondo creato dal Santo sia Egli Benedetto, pur se non ancora compiuto, porta in sé il germe della perfezione ed è inevitabilmente destinato al bene.
L’avvenire che l’ebreo si aspetta con fede incrollabile, è il sommo bene, anche se per perseguirlo è necessario passare attraverso sentieri ripidi e prove molto dure.

In ebraico il verbo “provare, mettere alla prova”, nasseh, è anagramma (cioè composto dalle stesse lettere) della parola haness, che significa “il segno, lo stendardo” e, allo stesso tempo, “il miracolo”:
il vero senso della prova è quello di manifestare il miracolo!

I Maestri della tradizione hassidica ci insegnano che compito dell’ebreo è di scavare e scendere nelle tenebre per stanare tutte quelle scintille di luce che vi sono imprigionate e liberarle.

“Ogni giorno sono […] sui i campi di battaglia o, possiamo dire, i campi di massacro. A volte mi si impone come una visione dei campi di battaglia colore verde come veleno, mi trovo accanto a degli affamati, dei torturati, dei moribondi, ogni giorno; ma sono allo stesso tempo vicino al gelsomino e al pezzo di cielo che sta dietro la finestra. In una vita, c’è posto per tutto. Per una fede in D’ e per una morte miserabile” (Etty Hillesum)

Alcune anime grandi, come quella di Etty Hillesum, o come quella di tanti ebrei e hassidim che sono entrati nelle camere a gas cantando lo Shema Israel e danzando, sono riusciti a strappare le scintille di luce dal cuore dell’inferno.

L’ebraismo crede in D’ e crede nell’uomo.
Crede che il mondo è fondamentalmente buono e che l’uomo porta in sé le potenzialità per portarlo a perfezione.
L’ebraismo presenta una visione positiva della vita,
l’ebraismo è l’arte di vedere il bicchiere mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto.

Il popolo ebraico è un popolo messianico,
l’idea di Messia, come spiega il rabbino Eli Kahn, non è nient’altro  che il fine e la meta del mondo è il bene:
“Se non ci fosse l’idea di Messia, sarebbe come dire che D’ ha creato un mondo imperfetto. La storia del mondo deve necessariamente avere un compimento positivo”.

I testi della tefilà (=preghiera) di Yom Kippur definiscono i figli d’Israele come “i prigionieri della speranza”.
“La Speranza”, in ebraico “Hatikqvà”, è diventata l’inno nazionale israeliano, in quanto il ritorno a Sion costituisce per il nostro popolo l’albore del nuovo giorno.

Ma in una visione così positiva, quasi idilliaca, della realtà, dove si colloca allora il male? E la sofferenza degli innocenti? E le ingiustizie?
Nella visione del mondo che ci offre la Torah, in modo particolare se letta nel suo senso esoterico, anche il male trova una sua giusta collocazione all’interno del complesso meccanismo della creazione.. Anche il male opera in funzione del bene: secondo i kabbalisti, ha un ruolo positivo al conseguimento del piano divino.

Se acquisiremo il linguaggio nuovo e rivoluzionario della Torah, impareremo a integrare il male in modo positivo anche nella nostra vita, come potenziale strumento per il conseguimento del bene pieno!

“…e fu sera e fu mattina”
Questo ritornello è la chiave di tutta la Torah: il bene fa seguito al male, la libertà alla schiavitù, alla Shoah lo stato d’Israele.

Il popolo d’Israele, che ha una missione messianica in questo mondo, quella di annunciare alle altre nazioni il fine positivo della creazione, doveva fare l’esperienza collettiva del male assoluto, doveva assumere su di sé il male assoluto per poi redimerlo.
Tutti aspettano da Israele, dal popolo-madre che ha generato il Testo Sacro, ricchezza dell’umanità, la risposta al male del mondo.
Ed è per questo che l’umanità è disposta a lasciar correre tutto,
ma soffre di un’intolleranza estrema verso il minimo errore e difetto che scorge nel popolo che si auto-proclama “eletto”.

Un popolo che ha come missione quella di far giungere l’umanità alla Restaurazione messianica, riparazione dal male,
doveva farne esperienza in modo assoluto, assumerlo su di sé e trasformarlo.

Dopo l’esperienza del male assoluto, è nata la ricerca di significato.
Fiumi d’inchiostro sono stati versati per rendere presenti i testimoni,
per far vivere le vittime, infinite le ipotesi e le riflessioni filosofiche e rabbiniche.

Noi ebrei abbiamo oggi la fortuna di far parte di questa generazione che segue quella della Shoah, la generazione che è il frutto dell’orrore, che ne porta ancora le cicatrici e i traumi, ma anche le aspettative e le speranze. Noi abbiamo avuto il grande onore di sorgere da quelle ceneri, di stringere fra le braccia i testimoni che hanno l’inferno tatuato sulla loro carne; abbiamo avuto il grande dono e la bruciante responsabilità di tuffarci negli occhi dei testimoni, di vedere l’orrore nei loro sguardi.

Noi ebrei abbiamo oggi il dovere storico non solo di rendere immortali le vittime, ma anche di cercare la risposta al loro inferno…Noi ebrei oggi siamo eredi della Shoah,
impegnati nella ricostruzione di quel mondo nuovo che le vittime reclamano da noi.

 

 

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